giovedì 20 settembre 2012

Prometheus: una breve analisi

Il nuovo film di Ridley Scott, Prometheus, sembra destinato ad accendere numerosi dibattiti, nati spesso da una visione del film che sembra quasi avere la necessità di confrontare e, in qualche modo, stabilire un nesso con altre due creature dello stesso regista, Alien e Blade Runner. Prometheus, al contrario, dovrebbe essere visto, assimilato e studiato come un evento sganciato da ogni connessione con le produzioni precedenti, produzioni che semmai dovrebbero essere identificate come degli embrioni (almeno nel caso di Blade Runner) all’interno dei quali si muoveva in maniera latente tutto ciò che in Prometheus è palese. Ci troviamo quindi di fronte ad un prodotto che, probabilmente, non replicherà gli scenari di pubblico in sala come accadde nel 1979 con Alien, ma che con altrettanta certezza si pone su un gradino molto più alto del classico horror science fiction mantenendo allo stesso tempo un alto valore di intrattenimento. Cosa distingue quindi il nuovo film di Ridley Scott da un semplice racconto di fantascienza? La risposta si può sintetizzare semplicemente in un concetto: coscienza di massa. Così come accadde in Matrix, anche Prometheus richiede un minimo di background personale in tematiche quali l’Esoterismo, il Simbolismo, le Scienze di Frontiera, e nello specifico quella che viene comunemente conosciuta come Storia Alternativa. Tema centrale e cuore pulsante del film è rappresentato dalla AAT (Ancient Astronauts Theory), ovvero la nascita dell’umanità come derivato del DNA concepito da una razza aliena, i veri progenitori della nostra specie. Questo il tema centrale, il messaggio che Scott divulga senza veli e senza sotterfugi allo spettatore, una chiara rivelazione che viene data al pubblico attraverso il personaggio di Elizabeth Shaw durante la scena nella quale scopre che il DNA umano è in realtà derivato da quello alieno. Se questo messaggio viene però dato chiaramente, senza ricorrere al alcun simbolismo o mettere a dura prova la capacità di analisi del pubblico in sala, in realtà tutto il resto del film è disseminato di allusioni e sottili riferimenti. Il ritrovamento effettuato in una grotta di quella che sembra essere una mappa stellare, è un chiaro riferimento ai tanti petroglifi sparsi in tutto il mondo che sembrano testimoniare una antica visita extraterrestre, e anche se il graffito che si vede nel film è frutto di pura fantasia, tutti gli altri reperti di origine egizia, della mesopotamia o appartenenti al mondo dei Maya sono autentici. Sembra quasi di ritrovarsi in una riedizione di “Chariots of the Gods” (Gli extraterrestri torneranno) di Erich von Daniken, il quale già sul finire degli Anni Sessanta esponeva questo tipo di teorie. La stessa tecnica del riferimento visivo si può notare quando si assiste all’arrivo dei viaggiatori dello spazio nel luogo di destinazione; durante il briefing che illustra lo scopo del loro viaggio ci si riferisce a tavolette d’argilla e manufatti propri del popolo dei Sumeri e di Akkad, ovvero ad uno degli scenari predominanti in tutta la teoria degli antichi astronauti alieni, di coloro che portarono la vita sul pianeta Terra. Anche in Alien esisteva un riferimento del genere, il simbolo del disco solare alato, chiaro riferimento all’antica Mesopotamia, allusione che nel 1979 forse venne colta da pochi spettatori. In un contesto del genere diventa inevitabile confrontarsi con quanto la scienza ufficiale ci propone, soprattutto quando si affrontano temi quali l’origine della vita e si toccano teorie come il Darwinismo e la Panspermia. Mentre l’intera pellicola contraddice esplicitamente il concetto di Darwin, proprio a proposito della Panspermia è ancora il personaggio della dottoressa Elizabeth Shaw ad accendere la polemica: ad un certo punto del film ci si chiede se non sia meglio mettere da parte la razionalità contenuta nella teoria di Darwin a favore di un concetto di Panspermia guidata; la risposta di Elizabeth lancia un altro dei messaggi contenuti in Prometheus: “se così fosse, chi ha creato gli Ingegneri?”. Il mistero permane, la Panspermia guidata non può essere presa come una risposta definitiva, la ricerca non ha ancora raggiunto il suo scopo, ci ritroviamo ancora in un punto non ben definito contenuto in un discorso circolare, nel quale ogni risposta sembra farci fare un passo avanti e, contemporaneamente, riportarci sempre al punto di partenza. Avendo trovato un punto di contatto con Alien, e cercando di dare un senso compiuto alla frase che chiuderà questa breve visione di Prometheus, è a questo punto importante cercare di capire se esistano punti di contatto anche con Blade Runner. Il secondo tema centrale del film di Scott è il raggiungimento dell’immortalità, un passo quasi obbligato per chi tenta di incontrare coloro che hanno creato l’essere umano, ovvero quegli Ingegneri che, avendo sufficiente conoscenza per creare la vita, saranno di certo in possesso del segreto per renderla eterna. Peter Weyland, interpretato nel film dall’attore Guy Pearce), crede che la soluzione si trovi nell’ingegneria genetica, e questo è il tema che, sia pure in maniera obliqua, traspare anche in Blade Runner; da notare come molti ricercatori e studiosi “di frontiera” abbiano già riscontrato possibili accostamenti del genere in molti testi antichi, non ultima la Bibbia, nella quale si possono trovare alcuni riferimenti a veri e propri “esperimenti genetici”. Veniamo adesso a questi Ingegneri, a coloro che hanno seminato i germogli della vita; nel film vengono descritti come dei giganti dalla carnagione pallida, estremamente intelligenti, dotati di forza sovrumana e dagli occhi penetranti. Il riferimento agli Anunnaki è abbastanza palese, basta osservare le antiche raffigurazioni o leggere il Vecchio Testamento e il Libro di Enoch. A questo punto però entra in azione una doppia visione; Scott attribuisce agli Ingegneri una profonda avversione per il genere umano, ma si tratta allo stesso tempo dei creatori dell’uomo, di quelli che gli stessi uomini un tempo identificarono come Dei e che, in seguito, trasferirono la loro divinità in una figura unica, il Dio delle religioni monoteiste. Ci ritroviamo in piena analisi gnostica, ad una rivisitazione del Demiurgo gnostico che si riflette nella figura degli Ingegneri di Prometheus. Questo ricorrere ai temi dello Gnosticismo è visibile anche nella scelta dei personaggi; sia in Alien che in Prometheus i protagonisti sono di sesso femminile, ovvero in quella forma nella quale gli gnostici ravvisavano la saggezza divina, e non è certo per un puro caso che, alla fine del film, sia proprio lei l’unica a trovarsi faccia a faccia con il Demiurgo. Conclusa questa veloce interpretazione dell’opera di Ridley Scott, interpretazione che di certo avrebbe bisogno di più spazio per maggiori approfondimenti, non resta che tentare di trarne le conclusioni. Prometheus rappresenta uno scenario largamente distaccato da Alien e Blade Runner, non un antefatto, non un seguito, si tratta in realtà di un voler rendere espliciti temi e simboli che risultavano codificati nei due film appena menzionati. Si tratta di un messaggio esplicito, un monito e una rivelazione allo stesso tempo, un confronto diretto con lo spettatore nel tentativo di aprire la coscienza a nuove visioni, nuove teorie, ad una visione globale della vita come elemento presente nell’intero universo. Non esistono risposte se non ci sono domande, non c’è ricerca che non abbia alla base il coraggio di interrogarsi e provare a rifare nuovamente il cammino alla ricerca di quanto possa esserci sfuggito durante il percorso. La ricerca è ancora aperta.

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