sabato 9 giugno 2012

I dominatori invisibili



Gli anni Cinquanta si avviano ormai al termine, i mass media sfornano giornalmente notizie inquietanti che parlano di misteriose presenze nei cieli d’America, e non solo; da quando, nel 1947, Kenneth Arnold è stato testimoni di uno straordinario avvistamento, i dischi volanti sono ormai quasi quotidianamente su ogni testata giornalistica, e con loro i primi dubbi circa un complotto sotterraneo che implicherebbe il Governo.
Realtà e fantasia si inseguono, vecchie paure risorgono dal loro letargo, ma qualcosa di mai sentito sta per accadere, qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare…il mistero e il timore che sovente l’accompagna sono molto più vicini di quanto sia mai stato scritto o immaginato.

Jacqueline Mallay è una normalissima casalinga francese, felicemente sposata, vive in maniera assolutamente tranquilla dividendosi tra le esigenze familiari e qualche svago nel fine settimana.
Una notte, altrettanto tranquilla e normale come tutti i suoi giorni, si svegliò di soprassalto gridando a squarciagola; in quello che non riusciva a collocare tra un sogno o una reale visione, avevo visto centinaia di piccole creature intente a scalare un grosso cumulo grigiastro posto al centro di una immensa pianura.
La scena non era forse così terrorizzante da giustificare il brusco risveglio, ma il senso di profonda angoscia che gli trasmise la portò ad urlare di disperazione.
Passò qualche minuto, il tempo di riprendersi, di osservarsi intorno e sincerarsi che nulla fosse cambiato; il marito dormiva tranquillamente e dalla stanzetta delle sue due bambine riusciva a sentire la più piccola che rideva nel sonno; era stato soltanto un brutto sogno, con questo pensiero Jacqueline ripose la testa sul cuscino.
Per quanto cercasse di rilassarsi non ci riuscì affatto; rimase per circa un’ora in preda ad uno strano stato di dormiveglia, quindi si alzò.
Era perfettamente cosciente di quanto stava facendo ma non era certo quello che avrebbe voluto fare; provò la netta sensazione che una volontà, molto più forte della sua, dirigesse le sue azioni e i suoi passi; andò in cucina, prese il blocco che usava per annotare la spesa da fare e iniziò a fare strani disegni.
Si trattava di una mappa, anche se del tutto incomprensibile, una mappa che aveva disegnato alternando i tratti della penna a tutta una serie di suoni gutturali, accenni di armonie e sorrisi; quella particolare cantilena svegliò il marito che, recatosi in cucina, tentò in tutti i modi di richiamare alla realtà Jacqueline, ma senza alcun risultato; la donne sembrava immersa in un profondo stato di trance.
Quando si riprese riconobbe il marito, gli raccontò quanto accaduto ma non riuscì a darsi una spiegazione, così come non si trattò di un caso isolato.
Per ben tre volte consecutive Jacqueline Mallay si ritrovò a vivere quella particolare esperienza, tanto che il marito, convinto si trattasse di esaurimento nervoso, decise di rivolgersi a uno dei più noti specialisti di Parigi.
Ciò nonostante non si riuscì a risalire a nulla e il sia pur riluttante accenno ai fenomeni medianici da parte di un medico, convinse il marito a seguire questa nuova direzione.
Entrò in scena un noto archeologo e glottologo, il dottor Azoulay, il quale non riuscì a trattenere il proprio stupore quando, ascoltando la voce di Jacqueline impressa su un magnetofono, riconobbe la lingua sacra dell’antico Egitto.
Erano forse i costruttori delle Piramidi quei piccoli omini grigi che la donna aveva visto all’opera?
Ben presto i giornali si impadronirono della notizia, e proprio grazie alla visibilità data dalla stampa si scoprì che il caso della signora Mallay non era affatto isolato.

Milano: 1959: soltanto un anno dopo i fatti avvenuti a Parigi.
Clotilde Traversa, così come Jacqueline Mallay, è una normalissima e tranquilla casalinga, felicemente sposata e idealmente lontana dal variegato mondo dei misteri.
Così come a Parigi, anche Clotilde sta per vivere una misteriosa e inquietante esperienza.
Trovandosi sul tram per fare ritorno a casa, improvvisamente avverte la sensazione di non essere più padrona della sua volontà; quando racconta il fatto al marito questi non gli da molta importanza ma si preoccupa seriamente quando la moglie inizia ad alzarsi durante la notte per scrivere poesie, complicate formule chimiche e poesie, tutte attività che le erano completamente estranee fino al giorno prima.
I successivi esami medici giudicarono la donna in perfetto stato di salute fisico e mentale, nonostante questa continuasse ad affermare di come un “gruppo di scienziati” si fosse impadronito della sua mente.
Per quanto l’intera storia apparisse del tutto astrusa, non appena i giornali ne vennero a conoscenza e la pubblicarono, arrivarono le prime, inaspettate, conferme; la signora Clotilde non era la sola a vivere questi particolari fenomeni, così come non era la sola ad essere convinta dell’esistenza di un gruppo di misteriosi scienziati, dominatori invisibili della mente.
Nelle sue stesse condizioni si trovava anche il dottor Michele Cataldi, un professionista romano, colto dalla netta sensazione di essere “comandato a distanza” mentre si trovava in Germania per un viaggio di affari.
Stesso problema per la signora Renata Amateis, a suo dire vittima di analoghe intrusioni mentali, che scrisse una lettera di conforto a Clotilde Traversa.
Ultimo in ordine di tempo il ragionier Antonio Danieli, per cinque anni sottoposto a continue vessazioni mentali, stanco di questa situazione fino al punto di scrivere una lettera di denuncia al Ministro degli Interni dell’epoca e al Procuratore della Repubblica di Treviso.
Tutte queste persone, e molte altre che non resero mai pubblica la loro storia, non avevano alcun rapporto che le unisse, non si conoscevano, abitavano in luoghi geograficamente lontani e conducevano una vita normale e tranquilla, non erano infine in alcun modo vicini ad ambienti ufologici o dediti a pratiche occulte.
Cosa accadde realmente in quei due anni? Quanti, ancora oggi, vivono in una simile situazione?
Quesiti inquietanti per risposte che, probabilmente, potrebbero non essere affatto piacevoli.

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